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Moscato d’Asti e Asti Docg – Il futuro del Moscato Bianco e le sue terre d’elezione

18.05.2021

Ci sono vini e territori in Italia che hanno vissuto epoche d’oro per poi rischiare di snaturare la percezione dei propri valori a causa di stereotipi o tendenze commerciali. Tra questi potremmo annoverare due delle più importanti denominazioni italiane e il proprio territorio di riferimento, ovvero l’Asti Docg e il Moscato d’Asti Docg e il loro areale. Due denominazioni fortemente radicate nella storia vitivinicola piemontese, che meritano grande attenzione e una valorizzazione che ne evidenzi le peculiarità reali, allontanando preconcetti fuorvianti ed elevando quelle che sono le potenzialità di un territorio e di un vitigno dall’identità spiccata e inconfondibile. Parliamo di luoghi dal fascino senza tempo, che l’uomo ha saputo disegnare con garbo e saggezza attraverso l’impianto di vigneti che seguono la fisionomia di colline dalla doppia anima, in base alla loro dolcezza o ripidezza. Colline care all’indimenticato poeta Cesare Pavese che ne elogia la bellezza in molti suoi componimenti. Territorio arricchito dalle cattedrali sotterranee dichiarate patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 2014.

Vigne di Moscato d’Asti Secco

Siamo nel regno del Moscato Bianco anche chiamato Moscato d’Asti o di Canelli, appartenente alla folta famiglia dei Moscati e che manifesta congruenze ampelografiche con il Moscato di Trani, quello di Noto, quello di Siracusa e all’attuale Moscatello di Montalcino (che ha soppiantato dopo la fillossera il moscatello selvatico locale). All’estero è chiamato Moscatel menudo blanco (in Spagna), Muscat à petits grains, o di Frontignan, o de Lunel, o d’Alsace (Francia), Gelber muskateller (Germania), Tamioasa (Romania).
Da non confondere, invece, con il Moscato giallo e neanche con il Moscatellone bianco (Salamanna, Zibibbo, Muscat d’Alexandrie, Muscat gordo blanco), nonostante alcuni tendano a sovrapporli.
Parliamo di un’uva nobile e antica che i Greci chiamavano Anathelicon Moschaton, mentre Plinio lo chiamava Apianae, perchè amate dalle api.
Un’uva che ha dato origine ad alcuni dei vini più apprezzati dalle corti nobiliari del ‘700 e che ha vissuto un’evoluzione enologica nella sua vinificazione che ha tra i suoi passaggi fondamentali quello della filtrazione a sacchi olandesi (in uso fino agli anni ’50 e ripresa in chiave moderna da alcuni produttori contemporanei) e l’avvento delle autoclavi e delle più moderne dotazioni di cantina.

Filtrazione del vino a sacco

L’area delle due denominazioni di cui quest’uva è protagonista è stata delimitata nel 1932 e comprende 51 comuni che si trovano nei territori delle province di Alessandria, Asti e Cuneo.

Mappa dell’Asti Docg

Sono circa 9700 gli ettari vitati a Moscato Bianco iscritti alla Docg, e sono oltre 4000 le aziende produttrici. Due diverse macrozone collinari:
– quella delle langhe, di forma più allungata e crinali lunghi e leggermente ripidi;
– quella del Monferrato, in cui insistono colline più dolci, immerse in una maggior biodiversità.

Terre tanto diverse quanto complementari che fanno grandi queste denominazioni.

Due territori come due sono le denominazioni distinte, entrambe a base Moscato Bianco: l’Asti Docg e il Moscato d’Asti Docg.
Il Moscato d’Asti, non subendo la presa di spuma, non è uno spumante, anche se è caratterizzato talvolta da una lieve frizzantezza naturale (si dice che è “vivace”), mentre l’Asti è uno spumante.
L’ASTI Spumante Docg nasce esclusivamente dal vitigno Moscato bianco. Favorito dai terreni calcarei della zona di produzione e da un microclima tipico delle zone collinari, è il frutto di tradizioni spumantiere piemontesi, conoscenze enologiche, tecniche di coltivazione e raccolta che permettono di mantenere intatto il patrimonio aromatico dall’uva al vino. Contraddistinto da un sapore muschiato, un equilibrio acido e zuccherino e una moderata alcolicità, il suo profumo intenso richiama i fiori di acacia, il glicine e l’arancio e il miele di montagna, con un sottofondo di spezie che rimanda a fiori di sambuco, di achillea, di bergamotto.
Il Moscato bianco è defi nita varietà aromatica con un alto contenuto in composti terpenici appartenenti alla classe degli alcoli mono, di e triidrossilati, come il linalolo (presente in equilibrio stabile con nerolo e geraniolo in funzione del pH del mosto) in termini non solo quantitativi, ma anche sensoriali, grazie alla bassa soglia di percezione di circa 50 μg/L, che rendono tale molecola capace di influenzare in maniera determinante il profilo aromatico delle uve e del vino che ne deriva.
Tali composti alifatici si ritrovano nell’acino sia in forma libera, principalmente a ridosso dell’esocarpo, sia glicosilati (quindi legati agli zuccheri) distribuiti nella polpa.
Per questo motivo il Moscato bianco viene conservato sotto forma di mosto non fermentato sino a poco prima della vendita, quando subisce una fermentazione parziale che garantisca un buon residuo zuccherino, fondamentale anche per preservare gli aromi.
Questo tipo di lavorazione risulta molto onerosa per i produttori, perché costringe le aziende a dotarsi di efficienti impianti di raffreddamento e sistemi di filtrazione che scongiurino qualsiasi fermentazione indesiderata ed è sufficiente a far comprendere quanto i sentori aromatici siano importanti per questa cultivar. (viten.com)
Come ho sempre sostenuto il Moscato d’Asti e l’Asti Spumante sono vini molto tecnici, che implicano dotazioni di cantina e competenze importanti e proprio per questo il suo prezzo medio dovrebbe essere più alto.

Vinificazione del Moscato

Negli ultimi anni i produttori dell’Asti hanno intrapreso un cammino innovativo per la denominazione, che ha portato alla nascita di nuove tipologie di vino in base al del residuo zuccherino: ASTI da Demi Sec a Extra dry, passando per la tipologia Dry o Secco nel 2017.
Il Moscato d’Asti Docg, invece, dopo l’entrata in vigore della Denominazione d’Origine Controllata e Garantita “Asti” nel 1993, diventa una denominazione a sé, pur essendo prodotta dalle stesse uve dello stesso areale.
Il Moscato d’Asti Docg rappresenta uno dei prodotti più caratteristici della vitivinicoltura piemontese, contraddistinto dall’intenso aroma muschiato dell’uva da cui è vinificato, dal sapore delicato che ricorda il glicine e il tiglio, la pesca e l’albicocca con sentori di salvia, limone e fiori d’arancio, con una componente zuccherina e un basso tenore alcolico. E’ importante ribadire che il Moscato d’Asti Docg non è uno spumante, in quanto è sottoposto ad una minima rifermentazione in autoclave, che viene arrestata al raggiungimento della gradazione di circa 5% vol.
Vini che rappresentano entrambi, seppur in modo differente, la luminosità e l’aromaticità di un vitigno che viene spesso sottovalutato ma che vanta una complessità (i precursori terpenici hanno una capacità evolutiva davvero unica) e una versatilità che solo le grandi uve sanno avere.
A tutelare e valorizzare queste denominazioni, da quasi 100 anni, c’è il Consorzio per la tutela dell’Asti Docg è stato ufficialmente costituito il 17 dicembre 1932 e riconosciuto nel 1934 inizialmente con il nome di “Consorzio per la Difesa dei Vini Tipici Moscato d’Asti Spumante e Asti Spumante”.
Un areale molto vasto quello dell’uva Moscato bianco, la cui coltivazione si estende per circa 10.000 ettari distribuiti in 51 Comuni delle province di Alessandria, Asti e Cuneo. Oltre 1400 ettari hanno una pendenza superiore al 40% e, di questi, 330 ettari hanno una pendenza maggiore del 50%: si tratta dei vigneti storicamente soprannominati “SORÌ”, dove a causa dell’elevata pendenza, non è possibile utilizzare mezzi meccanici e il lavoro può essere svolto solo a mano. Le prime colline del vino ad essere inserite nel Patrimonio Mondiale dell’Unesco sono state proprio quelle dell’Asti.
Le aziende consorziate sono 1013 divise tra 50 case spumantiere, 778 aziende viticole, 153 aziende vitivinicole, 17 aziende vinificatrici, 15 cantine cooperative. La produzione annuale si aggira di solito attorno agli 85 milioni di bottiglie, di cui circa 50 milioni di Asti DOCG e i restanti 35 di Moscato d’Asti DOCG. L’85% della produzione viene esportata all’estero.

Il Presidente del Consorzio Lorenzo Barbero vede il Moscato d’Asti e l’Asti Docg come figli di una grande tradizione italiana, che sa interpretare la modernità, e che sempre più a livello globale vuole essere il termine di confronto per il vitigno Moscato.
Fiducioso nelle recenti modifiche del disciplinare che mirano a permettere ai produttori di proporre l’Asti Spumante Docg con diversi residui zuccherini, offrendo al consumatore una varietà stilistica che avrà sempre al centro l’unicità del vitigno ed il territorio di origine ma potrà abbracciare un range di pubblico maggiore, con abbinamenti più variegati e occasioni di consumo più ampie.
Occasioni di consumo che reputo da anni il vero limite dei vini dolci, in quanto nella mentalità prettamente italica il Moscato d’Asti o l’Asti Spumante Docg sono sempre stati relegati al fine pasto e alle feste, con abbinamenti dolce su dolce che ne imbrigliano le potenzialità in maniera disarmante.

Pane, burro e aliciSì, perché una delle chiavi di lettura più interessanti per vini come questi è la ricerca di abbinamenti meno scontati, che vedano nel contrasto fra dolce e salato (niente più che l’evoluzione del tradizionale “Moscato con pane, burro e alici”) o dolce e umami (con la cucina asiatica e quella indiana) veicoli primari per far vivere attraverso la degustazione un’esperienza unica che esalti le caratteristiche del Moscato e lo allontani dalla “sindrome del panettone”.

Uva bianca Moscato

Se in alcuni stati è consuetudine utilizzare il Moscato d’Asti come aperitivo o l’Asti spumante a tutto pasto, comprendo che questo per palati meno avvezzi al residuo zuccherino e per la concezione di abbinamento che abbiamo in Italia e nel vecchio mondo possa risultare eccessivo. Eppure, credo fortemente nel ruolo dei Sommelier dell’alta ristorazione e dei wine bar più liberi da preconcetti nel veicolare l’eccellenza dei Moscati attraverso proposte al calice in grado di scioccare l’avventore. Ecco che il Moscato con il suo residuo mai eccessivo, la sua acidità spiccata e la carbonica che puliscono il palato può diventare uno strumento per elevare l’esperienza vissuta in un ristorante o in un locale di livello, aprendo la strada ad una “nuova” interpretazione di vini che stupiscono anche per capacità evolutive.

Sì, perché se è vero che molti produttori non hanno creduto nella longevità del Moscato d’Asti e dell’Asti Spumante a tal punto da renderlo il più “pronto” possibile per uscite rapide giovate tutte sulla freschezza, è altrettanto vero che persino le bottiglie pensate per non “invecchiare”, durante il mio ultimo tour territoriale, hanno stupito sia me che i produttori stessi per la loro tenuta nel tempo. Ecco perché un plauso va a quei produttori che nella longevità e nell’attesa, nella capacità evolutiva e nella complessità del Moscato credono fortemente, proponendo versioni di annate addietro e, magari, da vigne vecchie per affiancare i loro prodotti più “freschi” e subitanei.

Abbinamenti più nobili e inaspettati, elogio della longevità e valorizzazione del territorio attraverso una futura zonazione (la storica sottozona “Canelli” sembra prossima all’ottenimento di una propria docg) sono a mio modo di vedere i 3 punti che possono dare un’ulteriore spinta a queste due grandi docg che non hanno nulla da invidiare in termini di vocazione e di identità alle più importanti denominazioni italiane e non solo.

Inoltre, sono certo che la combinazione di questi territorio e di uno dei vitigni più interessanti dal punto di vista dei precursori aromatici (seguirò gli sviluppi delle ricerche che sta portando avanti il laboratorio interno al consorzio riguardo gli effetti dei cambiamenti climatici sullo sviluppo aromatico e sull’incidenza degli stessi su altri importanti parametri analitici), unitamente alla rinnovata volontà dei produttori più virtuosi di un approccio sempre più sostenibile (è qui che è nato il primo vino bio italiano e sta crescendo, nonostante le difficoltà, il novero di realtà biologiche) e accorto dalla vigna al bicchiere, rappresenteranno valori che porteranno il Moscato d’Asti e l’Asti Docg a giocarsi carte importanti non solo nell’ottica quantitativa ma anche in quella qualitativa, sorprendendo con le sue caratteristiche uniche e una versatilità ancora solo parzialmente esplorata.

Per quanto mi riguarda tornerò ogni anno a calcare le vigne di questo areale per constatare i progressi delle due denominazioni locali ma il mio invito è quello di contemplare sin da quest’estate questo territorio nelle vostre rotte enoturistiche. Ne varrà la pena!